Gli estensimetri, specialmente quelli di tipo meccanico, sono fondamentali per misurare le deformazioni nei componenti sollecitati da forze. Si distinguono, molto spesso, tra estensimetri ed estensometri. I primi (strain gauge) sono trasduttori utilizzati per misurare le deformazioni locali in un componente qualsiasi. I secondi invece (extensometer) sono dei particolari estensimetri, adatti per misurare la deformazione media dei provini cilindrici utilizzati nelle prove di trazione.
In un estensimetro meccanico sono presenti, in ogni caso, due coltelli disposti su un’apposta incasellatura, che costituisce la base di misura dell’estensimetro. I coltelli si dividono in mobile e fisso: lo spostamento del mobile rispetto al fisso consente, così, di misurare la deformazione. A questo punto il trasduttore di misura trasforma lo spostamento fra i coltelli in un segnale amplificato. Gli allungamenti elastici dei materiali metallici sono molto piccoli. Pertanto, per misurarli, si ricorre all’utilizzo dell’amplificazione tramite viti micrometriche, leve, ingranaggi e/o altri sistemi.
Lo sviluppo di questi estensimetri risale al periodo che va dal 1870 al 1890: all’epoca si utilizzavano principalmente come estensometri. L’estensimetro di Howard, per esempio, era fondamentale nel 1888 per misurare le deformazioni sui componenti. Di composizione molto semplice, questo estensimetro era formato da due tubi coassiali che sfociavano in punte coniche. Queste ultime, infine, si inserivano nel componente che si intendeva studiare. Le viti micrometriche si utilizzavano, invece, per determinare lo spostamento fra i due tubi.
Dal 1880 in poi si svilupparono estensimetri che funzionavano in modo differente. Ovvero, con una scala graduale solidale all’incasellatura, e l’indice solidale al coltello mobile. Anche in questo caso i componenti sono facilmente riconducibili a un estensimetro meccanico: coltello fisso, coltello mobile e indice (il trasduttore di misura), con il compito, quest’ultimo, di amplificare il segnale dello spostamento dei coltelli.
Gli estensimetri ad amplificazione mista, nati intorno al 1910, hanno l’obiettivo di aumentare l’amplificazione. In questo caso il comportamento della leva solidale, rapportato al coltello mobile, si misurava con una vite micrometrica. Tuttavia, nei modelli successivi, quest’ultima finì per essere sostituita da un comparatore (leve o ingranaggi).
Nel 1935 è stato sviluppato l’estensimetro Huggenberger, giustamente considerato come il più avanzato fino all’avvento degli estensimetri elettrici a resistenza. In questo caso, a seconda del modello dell’estensimetro, la capacità di misura è compresa tra i 5 e i 25 millimetri, mentre l’amplificazione consente uno spostamento del coltello mobile tra 300 e 2000.
Gli estensimetri ottici si basano sull’utilizzo di una leva ottica. Questo tipo di estensimetri monta uno specchio solidale al coltello mobile che, per effetto della deformazione, ruota attorno alla cerniera. L’effetto delle leve ottiche è quello di fornire rapporti di amplificazione più elevati delle leve meccaniche. Inoltre, con le leve ottiche, si può ottenere un’elevata precisione.
I primi estensimetri ottici risalgono al 1879. Sviluppati da Bauschinger, si impiegavano principalmente come estensometri per rilevare le caratteristiche elastiche dei materiali. Nello stesso periodo, nei laboratori era estremamente diffuso anche l’estensometro a singolo specchio brevettato da Martens. Gli estensimetri a singolo specchio, tuttavia, possono presentare alcuni inconvenienti. Nel 1923, con l’obiettivo di ovviare a queste problematiche, è stato brevettato l’estensimetro di Tuckerman, con una precisione pari allo 0,1% del fondo scala. Quello di Tuckerman è infatti un estensimetro a tre riflessioni.
Negli anni ’30 del secolo scorso gli estensimetri – sia meccanici che ottici – avevano raggiunto uno sviluppo tecnologico considerevole. Quelli elettrici, tuttavia, finirono per sostituirli rapidamente. Gli estensimetri elettrici a resistenza infatti presentano numerosi vantaggi, tra cui la capacità di trarre un ampio rilievo delle deformazioni statiche, contare su basi di misura ridotte, la possibilità di effettuare acquisizioni automatiche e, infine, delle misure di ingombro decisamente ridotte.
La resistenza elettrica dei conduttori varia, ovviamente, con la deformazione. Questo effetto venne investigato da Charles Wheatstone (1802-1875), William Thompson (1824-1905) e, in seguito, da Lord Kelvin – lo stesso che utilizzò il ponte di Wheatstone per misurare le variazioni di resistenza.
Nel 1923 B. McCollum e O.S. Peters svilupparono una tipologia di estensimetri a dischi di carbone. Un’asta solidale al coltello mobile esercita la pressione che permette alla resistenza elettrica della pila di variare. Inserendo la pila di carbone in un rame del ponte di Wheatstone, è infatti possibile misurare la resistenza. Il metodo secondo cui era possibile ottenere una caratteristica lineare corrispondeva all’inserimento di due pile soggette a spostamenti opposti ai lati adiacenti del ponte. Questo tipo di estensimetro si utilizzava per misurare principalmente la deformazione di ponti, strutture aeronautiche e cavi.
Ciò che caratterizza questi estensimetri è un sottile strato di grafite, applicato direttamente sopra la struttura da analizzare. Le particelle di grafite infatti si allontanano in trazione e, viceversa, si avvicinano in compressione. Brevettato in Germania da Auerbach, nel 1930, questo estensimetro si diffuse anche negli USA, ulteriormente sviluppato dall’Hamilton Standard. A causa della grafite, questi estensimetri erano soggetti a diverse influenze, quali grandezza e umidità.
Il loro migliore utilizzo infatti corrispondeva alle deformazioni dinamiche. La loro elevata sensibilità trasversale, inoltre, diminuiva solamente incollando l’estensimetro nelle estremità. Negli anni ’30 questi estensimetri erano utilizzati con discreto successo nel campo aeronautico, per analizzare le vibrazioni di palette delle turbine per propulsori aeronautici. Si trattò di un’intuizione pionieristica che valse a Charles Kearns una medaglia da parte del Franklin Institute.
Negli anni ’30, l’estensimetro utilizzato per per misurare le deformazioni all’interno di dighe, ponti e altre strutture in cemento era l’estensimetro di Carlson. Il sensore qui era costituito da fili d’acciaio sistemati in modo da subire allungamenti opposti sotto carico, introdotti ai lati adiacenti del ponte di Wheatstone. Dato che l’effetto della variazione di temperatura è in questo caso compensato, la variazione di resistenza dipende solo dalla deformazione.
Nel 1936 questo estensimetro è brevettato con il nome di Telemetric Device. Poteva inoltre essere funzionale per misurare la temperatura, spostando i fili dalla parte del ponte di Wheatstone – in modo da annullare l’influenza della deformazione.
Gli estensimetri elettrici a resistenza furono inventati nel 1938 da due americani, Edward Simmons, del California Institute of Technology, e Arthur Claude Ruge del Massachussetts Institute of Technology. Da allora gli ER hanno velocemente sostituito tutti gli altri tipi di estensimetri.
Il Dr. A. Ruge, del Massachussetts Institute of Technology, stava lavorando alla progettazione di strutture resistenti ai terremoti. Poiché verificò l’inadeguatezza degli estensimetri a carbone, intuì di di incollare un filo sottile che formava delle anse sopra un piccolo foglio di carta, utilizzato come supporto, incollato su una trave sottoposta a flessione. Questo trasduttore dimostrò di funzionare con risposte lineari sia in compressione che in trazione. Proprio per questo motivo, Ruge è considerato il vero inventore del moderno estensimetro elettrico a resistenza.
All’inizio del 1938 gli estensimetri meccanici, così come quelli ottici, avevano raggiunto una notevole diffusione ed un elevato grado di sviluppo. Gli estensimetri a resistenza elettrica infatti riscontrarono numerose difficoltà nell’affermarsi. Il problema principale era il fatto che non si presentasse per nulla bene, tanto che molti lo definirono composto in modo poco professionale: “un po’ di filo elettrico, carta da sigarette e collante casalingo”.
Tuttavia, Ruge non si fece scoraggiare e poiché fortemente convinto delle potenzialità del nuovo trasduttore si rivolse alla Baldwin-Southwark per istituirne una commercializzazione. L’industria, per tutelarsi, poiché conosceva il lavoro precedentemente svolto da Simmons – uno studente del California Institute of Technology che ebbe un’intuizione molto simile a quella di Ruge -, chiese a quest’ultimo di depositare il brevetto e di cedere in seguito i diritti alla stessa azienda.
Nel 1942 i fatti si svolsero proprio in quest’ordine, tagliando fuori Ruge, nonostante i primi estensimetri realizzati fossero del tutto inerenti ai suoi prototipi. Gli estensimetri a resistenza elettrica iniziarono così a diffondersi in modo piuttosto rapido, specialmente in ambito aeronautico. Simmons, comunque, non si era più occupato di estensimetria, ma il brevetto gli valse ricchezza e notorietà. Tanto che nel 1944 ottenne la Franklin Institute Medal.
Questo tipo di estensimetri si sviluppò a partire dal prototipo di Ruge. La griglia – continua, con raccordi semicircolari – qui è composta da un filo molto sottile, e la base di misura minima è di 3 millimetri. Ma non è l’unico esempio. Sono stati realizzati, infatti, anche estensimetri con griglia a spirale, a zig-zag e con raccordi di filo più grosso, con l’obiettivo di ridurre la sensibilità trasversale. Quest’ultima tipologia fu sviluppata in Svezia nel 1946, e commercializzata con il nome Tepic.
Questa tipologia di estensimetri ha una griglia costituita da una lamina, che viene incisa tramite la fotoincisione. Sono stati prodotti per la prima volta in Inghilterra negli anni ’50, brevettati da Eisler nel 1952 – esteso al 1959 negli USA. Con opportuni trattamenti termici, pochi anni dopo, si ottennero estensimetri autocompensati.
I sensori di questo tipo sono fondati sull’effetto piezoresistivo nei semiconduttori, operato da Smith nel 1954. In seguito ad ulteriori sviluppi dovuti a Mason e Thurston nel 1957, entrarono in commercio a partire da tre anni dopo.
L’applicazione di estensimetri del genere è legata alla produzione di trasduttori. Sono composti da un sottile strato di materiale conduttore depositato sottovuoto tramite vaporizzazione. Iniziato nel 1954 da Campbell, questo effetto è stato studiato anche dal ricercatore italiano Bray.
In Italia gli ER trovarono i proprio pionieri in Bray, Artusio e Boano. Nei laboratori di ricerca Fiat si utilizzavano gli estensimetri a carbone prodotti dalla Hamilton Standard. Tuttavia Artusio inaugurò la produzione di estensimetri del tipo a griglia elicoidale e, in seguito, di quelli a zig-zag proprio nei laboratori della Fiat.
Fu a partire da quest’attività che Boano, avvalendosi dell’esperienza di Artusio, avviò un’attività estensimetrica in maniera indipendente. Parlando di ricerca e applicazioni il discorso passa nelle mani di Anthos Bray, all’epoca direttore dell’Istituto di Metrologia “G. Colonnetti” del CNR di Torino. A lui infatti è riconosciuto il merito di un’intensa attività in campo estensimetrico e di meccanica sperimentale di interesse internazionale.
In ogni caso, le attività legate alla normativa dell’estensimetria in Italia sono state svolte a partire dal 1976 da parte di un gruppo di lavoro dell’AIAS. Le norme CNR /1.9.37-1.9.39/ e UNI (1.9.47) sugli estensimetri elettrici a resistenza sono, infatti, basate sulla documentazione prodotta dalla loro attività.
Gli ER sono, ad oggi, il metodo maggiormente diffuso per le seguenti attività:
È possibile applicare gli estensimetri su qualsiasi struttura e in qualsiasi materiale: omogeneo o disomogeneo, isotropo o anisotropo. Questi strumenti di misura funzionano, infatti, in ogni ambiente. Non risentono di basse o alte temperature, del vuoto, delle alte pressioni, dei liquidi, dell’umidità e nemmeno dei campi magnetici o delle radiazioni.
Molto spesso, al posto degli estensometri si preferisce utilizzare direttamente gli estensimetri elettrici a resistenza con i provini del materiale da caratterizzare. L’obiettivo è, ovviamente, quello di determinare le caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali.
È molto frequente trovare gli ER anche in campi come meccatronica, robotica e scienze dei materiali intelligenti. Ma anche in tecnologie di uso domestico: i forni a microonde per esempio si avvalgono di estensimetri per la determinazione automatica inerente alla massa del cibo da cuocere.
In meccanica sperimentale, gli estensimetri trovano a tutti gli effetti un ampissimo impiego. Non sono, infatti, utilizzati soltanto per l’analisi delle deformazioni, bensì anche nella realizzazione dei trasduttori adibiti alla misura di grandezze.
È estremamente probabile che il primo utilizzo della variazione di resistenza del filo per la misura della pressione in un recipiente sia riconducibile al 1908. In quell’anno, infatti, in Germania Lindeck propose di misurare la pressione dentro un recipiente tramite la variazione di resistenza di un filo avvolto attorno al recipiente stesso.
I trasduttori di pressione in genere utilizzano speciali estensimetri elettrici a resistenza montati su una lamina circolare soggetta, sul lato opposto, alla pressione da misurare. In ogni caso gli ER utilizzati nei trasduttori di forza (celle di carico) hanno del tutto sostituito i tradizionali sistemi di misura delle forze in ogni campo. Per esempio, dalle macchine prova dei materiali ai sistemi di pesatura industriali – fino alle più comuni bilance che si trovano in commercio.
Oggi le celle di carico sono disponibili in varie possibilità di portata e precisione: queste ultime infatti sono talmente elevate che, oltre a rendere questi trasduttori fondamentali per gli impianti di pesatura, è nata la consuetudine di utilizzare le celle di carico nei laboratori meteorologici per attività di taratura e campionamento.